Lo chiamano “il Santo di Urakami”. Fiero come un samurai nella sua etica giapponese, convinto all’ateismo come un uomo occidentale durante i suoi studi universitari di medicina, Takashi viene travolto dal fiume di fede che vive nel quartiere di Urakami, a Nagasaki. Un fiume sgorgato con l’arrivo di Francesco Saverio nel 1549, alimentato per secoli da migliaia di martiri e santi, passando per l’incredibile vicenda dei cristiani nascosti, durata oltre duecento anni.
Diventa Takashi Paolo: fino alla fine vero giapponese e intelligente medico e scienziato.
Il 9 agosto 1945 viene sganciata su Nagasaki la seconda bomba atomica della storia. Takashi Paolo è già gravemente malato di leucemia, a seguito del suo lavoro da radiologo. Decide di tornare a vivere sulle macerie del quartiere distrutto. Passa gli ultimi tre anni di vita costretto a letto, pregando per la pace, incontrando e confortando persone provenienti da tutto il Giappone, testimone di una fede e di un amore tali da vincere la devastazione della bomba atomica.
Noi dovremmo trasformare la nostra vita in poesia.
Dobbiamo scavare sotto la superficie delle cose, cercare la bellezza nascosta che è dappertutto e scoprire la gloria del creato che è intorno a noi. Allora ogni giorno diventerà una poesia.
Siamo vivi, siamo vivi e un intero giorno ci attende.
Takashi Paolo Nagai
Nagai, un compagno di cammino in questi giorni difficili
di Paola Marenco
già responsabile Centro Trapianti Midollo all’Ospedale “Niguarda” di Milano
vicepresidente dell’associazione “Medicina e Persona”
Sempre ogni professionista della salute porta con sé due strumenti terapeutici: quello che sa (e quindi sa fare) e quello che è. Di fatto li usa in ogni gesto professionale, ma non tanto con le parole quanto con lo sguardo alla persona che cura e con quei piccoli gesti di ogni istante che cambiano tutto perché commuovono per l’imprevista necessaria amicizia e la speranza offerta.
Ma ci sono dei momenti come quello attuale in cui è evidente a tutti che la sola prestazione non basta. La gratitudine generalizzata di oggi nei confronti dei miei colleghi in prima linea inizia dalla commozione per il fatto che in prima linea ci tornano ogni mattina, continua di fronte all’immane sforzo tecnico, di riorganizzazione, di dedizione, di ricerca affrettata di ogni possibile cura, ma raggiunge il picco di fronte a quei piccoli gesti che riaprono il cuore (di chi è malato e di chi cura) al sublime che permette di vincere la paura e vivere ora l’istante con pienezza. Gesti come telefonare ai parenti per forza lontani, organizzare preghiere perché il Signore accompagni Lui chi è solo a lottare fino a quel medico oberato, ma che arrivando in reparto porta le brioches ai malati magari scrivendoci sopra la frase di una canzone, eccetera.
Tutto questo è proprio quello che ci ha colpito della incredibile persona del dottor Takashi Paolo Nagai, fino a raccontarlo in una mostra, e che da allora ci accompagna quotidianamente nelle difficoltà. Le mostre programmate in varie città sono state tutte rinviate, ma tutti sentono Nagai compagno di cammino in questo tempo perché di fronte a una tragedia come la bomba atomica (che gli aveva ucciso la moglie e 70.000 persone in pochi minuti) aveva saputo diventare lui stesso “annuncio” certo di quel Bene che la Provvidenza sempre sa trarre anche dal male, e quindi possibilità di gioia e di ricostruzione per il suo popolo. Bene lo esprime lui stesso riconoscendo il compimento della sua vocazione di medico nella condivisione della sofferenza e della gratitudine dei suoi pazienti e nella preghiera per il loro destino.
25 marzo 2020