L’indagine sui vizi capitali, scritta tra il 1268 e il 1270, esplora il nesso tra le limitazioni e le imperfezioni umane, il male morale commesso a livello individuale, e quel male universale che sembra starne alla radice e portare con sé il segreto della sua drammaticità per la vita umana. Utilizzando il genere letterario della disputatio, Tommaso affronta l’esperienza concreta degli uomini e delle donne, i percorsi insonni e inquieti del desiderio, le peregrinazioni dietro l’attrattiva di idoli tanto esigenti e tirannici quanto deludenti, e conclude che il peccatore non è altro che un uomo che non sa individuare il fine ultimo della sua innata vocazione al bene. Proprio la traccia del desiderio è illuminante per riconoscere il male morale come inganno e come fallimento e, invece, il bene come fine ultimo, in cui si consegue la pienezza del proprio essere.