“È chiaro che la paternità di Giuseppe ha definito l’identità di Gesù Cristo. Per chi lo amava come per chi lo disprezzava, Cristo era “il figlio di Giuseppe”. Era come il suo cognome che, unito al nome del villaggio in cui era cresciuto, lo identificava umanamente, come ogni persona è normalmente definita dai genitori, dal luogo di origine e dai parenti stretti o lontani che ha. Ma per noi, come per i discepoli che presto o tardi sono giunti a riconoscerlo come “Figlio di Dio”, la definizione “figlio di Giuseppe” ha un significato ben più profondo che quello anagrafico (…). Perché, allora, non fare tesoro anche noi di questo ambito di crescita umana di cui il Figlio di Dio ha usufruito con amore e gratitudine? Non possiamo anche noi crescere in Cristo e lasciar crescere Cristo in noi riferendoci e affidandoci alla paternità di Giuseppe di Nazareth? La Chiesa, da secoli, ha capito quanto è importante e utile affidarsi alla sua cura, in tanti ambiti e aspetti dell’umana esistenza. L’anno dedicato a san Giuseppe da Papa Francesco lo prova e rilancia questo affidamento. Ma è forse il mondo stesso in cui viviamo, in cui vive oggi tutta l’umanità, questo mondo di orfani vaganti senza punti di riferimento né vie di accompagnamento, è questo mondo a ricordarci l’urgenza di poter trovare un padre umano che ci educhi alla filiazione divina, un uomo che lo Spirito Santo ha reso capace, nell’obbedienza silenziosa, di formare umanamente il Figlio di Dio. Non l’ha fatto solo per Gesù: lo ha fatto per Gesù in nostro favore. Perché è per noi che il Figlio di Dio ha vissuto con lui. E ora la compagnia paterna di Giuseppe di Nazareth ci è offerta, silenziosamente per continuare assieme a Maria la sua grande opera di far crescere Cristo come Figlio di Dio nella nostra umanità, in tutta la nostra umanità, e per l’intera umanità.