Felipe Díaz Carrión lavora come tipografo nel paese dove vive da sempre, dove ha vissuto il padre assassinato dai fascisti di Franco, dove si è sposato e ha avuto due figli. Quando la stamperia entra in crisi, con la famiglia è costretto a emigrare: trova lavoro in una fabbrica del Nord, e inizia una nuova vita. Ma in questa nuova esistenza – in cui frutteti e montagna sono sostituiti da strade di polvere e fango − il figlio maggiore, Juan José, si avvicina a nuove pericolose compagnie, fino a sposare le tesi – e l’azione – del terrorismo basco, blindandosi in un’ottusa ideologia che lo porterà all’omicidio e al carcere.
La vicenda del figlio dilania Felipe, che però ripercorre la storia di suo padre, e dal suo insegnamento di democrazia e non violenza trarrà la forza della salvezza.
Una drammatica esperienza, la sua, come evidenzia Guadalupe Arbona Abascal nella postfazione, che è la vera protagonista del romanzo, al cui centro è il dolore di una famiglia devastata dall’ideologia e da una società ormai cieca attraversata dalla violenza.