La vita di ogni uomo è segnata da limiti, male, fallimenti, che
talora sembrano irrimediabili. Eppure la stessa disperazione è segno di
un inestinguibile desiderio di poter ricominciare dopo ogni male
commesso, dopo ogni fallimento, di essere rifatti puri e disposti «
a salire a le stelle».
Il Purgatorio allora è la cantica del peccato e del perdono, dove la debolezza dell’uomo si apre – anche solo «per una lagrimetta» – alla «bontà infinita» che «ha sì gran braccia, / che prende ciò che si rivolge a lei».
E il commento di Franco Nembrini è come sempre tutto teso a mettere
in evidenza il rapporto vivo fra il testo dantesco e l’esperienza
drammatica della vita di ciascuno.