C’è una generazione che ha conosciuto la povertà, le devastazioni e gli orrori della guerra, che ha lavorato duramente, a prezzo di grandi sacrifici, per assicurare migliori condizioni di vita ai propri figli e alle proprie comunità.
Queste pagine sono una testimonianza di quella generazione che ha visto cambiamenti epocali non solo a livello tecnologico ma anche della mentalità. Essa aveva una speranza per il futuro, era attaccata alla vita e la trasmetteva generosamente. Con tristezza assiste al degrado della vita sociale e politica, al diffondersi di un senso di sfiducia di cui l’inverno demografico è il segno più eloquente.
Paradossalmente chi ha avuto tutto sembra in balia del niente.
Una piccola storia che è in qualche modo un’intima ribellione al nulla dilagante, un invito a guardare chi ci ha preceduto, a raccoglierne, e non dilapidarne, l’eredità.
Essa vuole dare, specie ai giovani, il messaggio che la vita, coi talenti che ciascuno ha, va spesa, donata, trasmessa così da potersi ritrovare, a 99 anni, a dire: «Non mi sono stancato di vivere».